La professione di coach è relativamente nuova, in particolare nel contesto sociale italiano.
A riprova di ciò, la legislazione italiana non ha definito in modo univoco questo tipo di mestiere che, ad oggi, risulta ancora poco regolamentato.
Questo non solo ha permesso a molte persone di avvalersi del titolo di coach senza avere acquisito le competenze necessarie, ma ha anche creato delle zone d’ombra che, purtroppo, delle volte sfociano in veri e propri abusi di professione.
In questo articolo ci proponiamo dunque di fare un po’ di chiarezza in merito alle differenze che intercorrono tra il ruolo di coach e quello di psicoterapeuta, traendo spunto dalle linee guida divulgate dall’International Coaching Federation (ICF), la più grande associazione professionale internazionale di coach (con oltre 70.000 membri in più di 141 nazioni).

LUNA Scuola di Coaching per l’Anima, infatti, è un corso professionalizzante accreditato ACTP (Accredited Coach Training Program) di Livello 2 da ICF e forma professionisti nell’ambito del coaching che, una volta ottenuta la certificazione LUNA, possono richiedere una credenziale ICF (il che significa attribuire uno standard di qualità per la tua professione di coach, attestando che il tuo business segue criteri di settore elevati, come ti abbiamo raccontato in questo articolo).
Una delle principali responsabilità etiche di un coach consiste nell’essere consapevole dei limiti del proprio campo d’azione, riconoscendo quando un cliente ha bisogno di più di quello che il coaching stesso può fornire.
Questo è uno dei motivi per cui il Codice Etico di ICF sottolinea l’importanza del definire un preciso e dettagliato accordo di coaching tra coach e cliente prima di avviare questo tipo di collaborazione professionale: al di là degli aspetti legali e fiscali, l’accordo di coaching è uno strumento di fondamentale importanza per informare i clienti di ciò che può e non può essere affrontato nel coaching.
Differenze tra coaching e psicoterapia
L’International Coaching Federation (ICF) definisce il coaching come una “collaborazione con i clienti in un processo creativo e stimolante che li ispira a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale“.
All’atto pratico, ciò significa che il coaching si concentra sugli aspetti di sviluppo e diviene uno strumento di supporto nell’accompagnare le persone a evolvere ulteriormente rispetto al livello di consapevolezza e di auto-efficacia attuale.
Non si va in alcun modo ad indagare aspetti di psicopatologia, quali depressione, attacchi di panico, ansia generalizzata, PTSD o altre condizioni di questo tipo, poiché vanno oltre il campo d’azione del coaching.
Il coaching punta a massimizzare il potenziale, il che significa lavorare con coachee (ossia coloro che ricevono il coaching) in piena salute mentale, capaci di raggiungere gli obiettivi da loro prefissati in quanto custodi di tutte le risorse necessarie per raggiungere il proprio successo.
Ecco perché, fondamentalmente, il coaching lavora per obiettivi e, di conseguenza, un percorso di coaching ha in generale una durata circoscritta nel tempo.
Nella relazione di coaching, è il cliente stesso a definire il traguardo che desidera raggiungere e si avvale della figura del coach in quanto facilitatore e catalizzatore della propria trasformazione.
Certo, può accadere che il coach esplori assieme al proprio cliente dinamiche legate al suo passato, alle relazioni e alle sue emozioni, ma con un’intenzione orientata verso la crescita e la trasformazione desiderata.
Il fine del coach, infatti, non è quello di comprendere l’origine di tali dinamiche né di lavorare per risolvere o curare determinate disfunzioni e disturbi, bensì consiste nel portare il focus sul presente in virtù degli obiettivi posti per il futuro a breve e lungo termine.
Come dichiarato nel documento divulgato da ICF “Referring a Client to Therapy”, lo scopo del coaching riguarda il miglioramento di prestazioni, l’apprendimento o lo sviluppo nelle aree funzionali della propria vita, mentre la terapia affronta anche dinamiche emotive e questioni personali profonde al fine di innescare un processo di guarigione.
Inoltre, un coach è in grado di definire e rispettare il limite delle proprie competenze, riconoscendo i casi in cui il cliente possa aver bisogno di un supporto che esula dalle sue qualifiche ed esperienza.
Come indicato dal Codice Etico e dalle linee guida di ICF, nel caso in cui un coach dovesse rendersi conto che la dinamica trattata con il cliente:
- è al di fuori del proprio campo di competenza;
- interferisce con le attività quotidiane del cliente (personali e professionali);
- è di natura psicologica e riguarda emozioni profonde;
è compito e dovere del coach rimandare al cliente con rispetto e delicatezza la possibilità di riferirsi a un altro tipo di professionista.
Ricorda: in quanto coach, l’autoriflessione e l’autoconsapevolezza sono strumenti importanti non solo per facilitare al meglio i nostri clienti, ma anche per riconoscere quando un problema va oltre la nostra portata e competenza.
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