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Il distacco dal risultato: a cosa serve e come praticarlo

14 Settembre 2021

Ti sei accorta anche tu di come, nella società odierna, viene messo un focus sempre maggiore su quello che una persona riesce a ottenere, a produrre e a raggiungere? Quando poi ci fermiamo un attimo e ci prendiamo del tempo per noi stesse, non a caso subentra il senso di colpa e/o ci sentiamo inutili.

Siamo così abituate al fare continuo, alla produttività e all’impegno incessante, che appena usciamo da questa dinamica, pensieri inconsci – come “Non posso starmene mica con le mani in mano, altrimenti sembrerò pigra” oppure “Tutti gli altri stanno facendo più di me, non posso essere da meno” – spuntano nella nostra testa.

Puntualmente ci mettiamo a confronto con concorrenti, colleghe, amiche e conoscenti, e ci svalutiamo se magari gli altri fanno “meglio” di noi. O ancora, non definiamo alcun obiettivo specifico/ambizioso per paura di fallire. Tutto questo perché, senza saperlo, molte di noi hanno imparato a legare il proprio valore ai risultati che ottengono, e quando questi non soddisfano le aspettative, credono di non valere più nulla.

Se vuoi disintossicarti da questo pattern, sappi che è fattibile. Ti consiglio di continuare a leggere per approfondire l’argomento e scoprire come iniziare a praticare il distacco dal risultato.


Alle origini del problema

L’attaccamento al risultato è una dinamica molto profonda che ci è stata perlopiù inculcata attraverso l’educazione che abbiamo ricevuto.

Molte di noi sono cresciute con valutazioni scolastiche, test e giudizi. Fin da piccole ci è stato richiesto di raggiungere determinati standard esterni. E magari, quando questo non avveniva, genitori o insegnanti – inconsapevolmente o comunque senza l’intenzione di nuocerci – ci riprendevano o ci paragonavano a qualcun altro per non aver fatto od ottenuto abbastanza.

Personalmente, se ripenso al mio passato, mi rendo conto di quanto l’educazione ricevuta mi abbia spinta a voler sempre ottenere il massimo, pena la svalutazione di me stessa. Per lungo tempo ho agito secondo questa modalità, e ogni volta che non raggiungevo il risultato che mi aspettavo, ecco che mi buttavo giù e mi sentivo di non valere abbastanza.

Allora, cosa possiamo fare quando ci accorgiamo che molto del nostro modo di comportarci è condizionato da questo pattern? Per prima cosa è importante capire che l’attaccamento al risultato è strettamente legato al concetto di autostima.

Stimarsi (ma sotto condizione)

Se noi osserviamo con attenzione la parola “autostima”, ci accorgiamo che si tratta della “stima di noi stesse”, ovvero del nostro valore. Quando si fa una stima, però, generalmente la si fa rispetto a un criterio. Quindi, qual è il criterio che usiamo per stimare il nostro valore?

Qui abbiamo visto che uno dei modi per misurare (erroneamente) quanto valiamo può essere quello di riferirsi alla propria immagine, alla propria apparenza, e lo stesso può avvenire con altri fattori. Si crea comunque sempre la convinzione che “Se faccio X, arrivo a Y”, oppure “Se raggiungo il risultato X, allora ottengo Y”, dove la “Y” non è altro che quella sensazione di valore e stima di sé.

Questo capita anche perché da piccole magari ci è stato detto “Se fai la brava, ti do quella cosa che desideri tanto” oppure “Quando avrai finito i compiti, allora andremo al parco”. Perciò, ci creiamo l’associazione inconscia per cui ci deve essere sempre una condizione e dobbiamo prima fare qualcosa, raggiungere un determinato risultato, per poterci sentire felici, contente o realizzate.

Se quindi approfondiamo il concetto, proprio perché fin da piccole siamo state abituate a scendere a certi compromessi pur di soddisfare i nostri bisogni primari, nella condizione “Se io faccio X ottengo Y”, la “Y” rappresenta qualcosa di più profondo: l’amore, l’accettazione o l’attenzione delle persone che ci stanno accanto.

La mia esperienza personale

Io, ad esempio, sono sempre stata una secchiona. Mi piaceva studiare, imparare e riuscire a ottenere dei buoni voti, perché? Perché ogni volta che questo accadeva, i miei genitori mi portavano al Mc Donald’s.

Nel mio inconscio infantile, non era tanto il fatto di andare a mangiare un hamburger che a me entusiasmava, ma piuttosto l’idea che finalmente la mia famiglia si sarebbe riunita. Quello era il momento in cui finalmente avremmo potuto sederci tutti insieme, senza telegiornale o altre distrazioni, proprio come se fosse il mio premio.

Così, ho collegato il risultato all’amore, l’accettazione e la sicurezza di quei “momenti famiglia” in cui sentivo che tutti erano fieri di me, e ho iniziato a creare al mio interno un feroce giudice che mi spronava a ottenere sempre di più, altrimenti sarebbe subentrata la tristezza o la vergogna.

I primi passi per uscirne

A che cosa hai associato il raggiungimento del risultato?

Quando ci rendiamo conto di tutti questi meccanismi, il primissimo passo per uscirne è la consapevolezza. E quello che puoi fare per ottenere questa consapevolezza è chiederti a che cosa hai associato il raggiungimento del risultato.

Ogni volta che raggiungi un risultato, che cos’è davvero che vuoi ottenere? Cos’è quella cosa inconscia che ricevi o che hai ricevuto in passato? Ripercorri la tua storia familiare per capire se ci sono state delle situazioni che hanno rafforzato questi collegamenti mentali.

Magari potresti scoprire che stai portando avanti un dinamica che oggi giorno non c’è più, ma che inavvertitamente hai fatto tua, e che quello che vuoi ottenere è appunto l’amore, l’accettazione o l’attenzione da qualcuno in particolare.

Come puoi ricreare delle situazioni in cui poter rivivere quelle emozioni?

A quel punto, una volta che hai identificato ciò che vuoi ottenere realmente con il raggiungimento del risultato, puoi fare il passo successivo e chiederti come puoi ricreare delle situazioni in cui poter rivivere quelle emozioni nel presente, senza per forza far sì che siano condizionate da un risultato.

Nel mio caso, ad esempio, mi sono chiesta che cosa potesse darmi oggi la sensazione del mio “momento famiglia”. Ho capito che poteva essere anche semplicemente una chiamata tra me e mia madre in cui ci ascoltiamo a vicenda, senza giudizio, oppure una cena di famiglia o una passeggiata nel bosco con il mio compagno.

Ho capito anche che non è necessario che sia coinvolto qualcun altro. Si può ricreare il proprio momento anche da sole, mettendo su la musica, accendendo una candela, dedicando tempo a scrivere nel proprio journal, conoscendosi e imparando ad accettarsi totalmente.


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Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su anh.coach