Il fascino dell'Ombra: cosa nascondiamo dentro di noi

Oggi parliamo dell'Ombra, un archetipo molto importante nell’ambito della crescita personale e spirituale.

Cosa rappresenta di preciso questa parte oscura che ci intimorisce e allo stesso tempo ci affascina? Cosa comporta per le nostre vite? E perché è importante lavorarci sopra?

In questo articolo trovi le risposte. Ma prima, se non l’hai ancora fatto, ti invito a recuperare questi post (1, 2 e 3): ti forniranno un quadro più completo sull’argomento.


L’origine dell’Ombra

Come ti dicevo qui, durante la nostra infanzia, e poi nel corso della nostra vita, ci facciamo un’idea di cosa "si può fare" e di cosa no. Allo stesso tempo, creiamo (inconsapevolmente) nella nostra mente un modello di persona da seguire e uno da cui discostarci assolutamente.

Questo accade perché interiorizziamo un particolare insieme di norme e di regole che ci vengono tramandate. E, sulla base di queste, sviluppiamo un nostro "personaggio", assumendo un certo ruolo e indossando una certa maschera.

Quando entriamo eccessivamente in questo ruolo e ci sforziamo a tutti i costi di interpretarlo, però, ci ritroviamo a estremizzare certe nostre caratteristiche. In più, iniziamo a escludere i rispettivi aspetti opposti, talvolta dando vita a delle vere e proprie compulsioni.

Un esempio?

Se ti riconosci nel ruolo della persona che si impegna, che ce la mette tutta e che lavora sodo per ottenere risultati (perché appunto questa è stata la modalità acclamata quando eri piccola), c’è il rischio che tu possa estremizzare questo tuo ruolo, respingendo il suo opposto, vale a dire la “pigrizia”.

Quindi, magari ti dici: “Dato che sono una persona impegnata che si dà da fare, non posso concedermi il riposo, non posso fermarmi, non posso fare le cose con più calma ecc. ecc., perché (al contrario) devo sempre impegnarmi al massimo, devo sempre dimostrare di farcela, devo sempre essere al pieno delle mie forze.” E così, ti ritrovi a fare, fare, fare, correndo il rischio dell'esaurimento nervoso.

Oppure, mettiamo che nella tua famiglia si è sempre dato valore al gesto di condividere con gli altri, di dare supporto, di essere d’aiuto, e perciò sei cresciuta con questi valori e principi. Anche in questo caso, se estremizzi questa tua caratteristica e ti identifichi esclusivamente come una persona generosa, rischi di eliminare tutto quello che in apparenza ti sembra egoistico. O meglio, rischi di escludere anche gli aspetti positivi dell’egoismo, come il pensare a te stessa e l’occuparti di te, probabilmente arrivando a metterti sempre in secondo piano.

Lo stesso può accadere se ti convinci di essere una brava persona e rinneghi automaticamente tutti quegli atteggiamenti che attribuisci a una “cattiva persona”, relegandoli appunto nella tua Ombra. Quindi diventi così accomodante da non riuscire a dire mai di no, permettendo agli altri di potersene approfittare. 

In realtà, attenzione! I meccanismi che ho appena descritto si attuano in maniera inconscia. Spesso non siamo consapevoli di pensare che non possiamo/possiamo fare questa cosa perché dobbiamo/non dobbiamo essere quel tipo di persona, ma a livello inconscio succede proprio così.

Dunque, in sostanza, l’Ombra rappresenta tutte quelle cose di noi che inconsciamente abbiamo relegato nel buio. È composta da quelle parti di noi che non ci piacciono e che abbiamo rifiutato, quei comportamenti, quei pensieri e quelle emozioni che crediamo essere “negativi” e che in qualche modo appartengono a un ruolo diverso o opposto da quello che crediamo sia più giusto (e più sicuro) mettere in atto.

La proiezione esterna dell’Ombra

Il processo di creazione della propria Ombra è un po’ come mettere la polvere sotto il tappeto: le caratteristiche che non ci piacciono e che nascondiamo a livello inconscio rimangono comunque dentro di noi. E spesso noi le manifestiamo attraverso la proiezione, ovvero le vediamo negli altri, invece che in noi stessi.

Questa proiezione può avvenire in diversi modi. Uno di questi è quando ci ritroviamo a sminuire gli altri tramite il giudizio, criticando caratteristiche o comportamenti di loro che ci danno particolarmente fastidio.

Se, come abbiamo detto, sei una persona che si riconosce nel ruolo di chi si impegna duramente, secondo questo principio è possibile che proverai l’orticaria nei confronti delle persone pigre che apparentemente non combinano niente. Allo stesso modo, se ti sei riconosciuta nella persona spirituale a cui non interessano i soldi o la materialità, potresti provare fastidio nei confronti delle persone che parlano apertamente di queste cose. 

Ecco, questo tipo di reazioni sono proprio un indice del fatto che gli aspetti che ti irritano e che giudichi degli altri, in verità, sono una proiezione della tua stessa Ombra. Sono caratteristiche che magari, sotto sotto, vorresti concederti, ma che rinneghi e che quindi hai represso dentro di te.

La proiezione può avvenire anche in senso “positivo”. Possiamo proiettare le caratteristiche che consideriamo positive della nostra Ombra sugli altri, elevandoli fino all’estremo. Quindi idealizziamo le persone che ci sembrano brave, belle e intelligenti, e riconosciamo in loro tutte le capacità che noi vorremmo avere, finendo però per non vedere più le nostre potenzialità.

Un esempio concreto di questo è avvenuto proprio durante una sessione di group coaching che ho svolto qualche mese fa, in cui una donna che lavora online mi ha raccontato di ammirare alcune caratteristiche dei suoi competitors che lei crede di non avere assolutamente in lei. In particolar modo, la loro capacità di comunicare sui social con decisione, carisma e determinazione.

Indagando più a fondo, abbiamo scoperto che fin da piccola lei si è comportata sempre da brava bambina: tranquilla, composta e quieta. Stava al suo posto e non osava parlare troppo o attirare l’attenzione su di sé. E questo ruolo che si è creata (e che ha portato avanti per molto tempo), oggi le impedisce di mostrarsi agli altri con coraggio e di manifestare la sua personalità senza remore.

Nella sua Ombra lei ha relegato tutte queste capacità, altrimenti non le ammirerebbe negli altri, non le noterebbe neanche. Eppure non si dà il permesso di esprimersi totalmente, per timore di uscire dal suo ruolo di brava bambina e venire sgridata. E, nel frattempo, si è anche convinta che il problema non sia questo, ma piuttosto la strategia, il diploma, la mancanza di tempo o di fortuna, ovvero un sacco di scuse.

Vedi come la nostra Ombra talvolta può giocarci contro e metterci i bastoni fra le ruote? Specialmente se non la riconosciamo e non facciamo niente per includerla.

Ogni volta che ammiri qualcuno o che provi un po’ di sana invidia nei suoi confronti, ricorda quindi che quelle caratteristiche sono già dentro di te. È ora di uscire da un ruolo che ormai è diventato limitante e integrare finalmente tutte le tue parti, anche quelle che non ti stai permettendo di essere.

Devi capire che non è questione di essere una sola cosa o un’altra: una brava o una cattiva ragazza, una persona impegnata o pigra, una persona generosa o egoista. Sono queste dicotomie che ci fanno male!

Solamente incorporando tutte le parti di noi e accettandoci a 360°, ci diamo la possibilità di essere chiunque noi vogliamo. E così facendo, non solo diventiamo più consapevoli, ma scopriamo di avere un potenziale immenso: diventiamo libere di essere autentiche e di risplendere appieno, attirando a noi esperienze, persone ed eventi che vibrano alla stessa frequenza.

Una pratica di consapevolezza

Esiste una pratica di journaling che può aiutarti a prendere maggiore consapevolezza della tua Ombra.

1. Fai una lista delle persone che giudichi

Per prima cosa prendi un foglio e inizia a scrivere i nomi delle persone che ti sei ritrovata a giudicare o che ti danno particolarmente fastidio, indicando i comportamenti, le parole e gli atteggiamenti che ti infastidiscono di loro.

Magari ti danno sui nervi le persone arroganti, oppure le persone che parlano in maniera troppo diretta. O magari ti disturbano le debolezze degli altri e le loro fragilità, appunto perché dentro di te, nella tua Ombra, ti sei convinta di dover essere sempre forte.

2. Fai una lista delle persone che ammiri

Allo stesso modo, fai una lista di coloro che stimi. Possono essere i tuoi maestri spirituali, i tuoi mentori o anche i tuoi idoli. Insomma, scrivi i nomi delle persone che ti ispirano e che puoi anche avere idealizzato.

Magari apprezzi il coraggio di una determinata persona e credi però di non averlo dentro di te, perché, come abbiamo detto, non ti sei ancora data modo di esprimerlo.

Quindi pensa a queste persone e interrogati su cosa esattamente ammiri di loro, annotando queste loro caratteristiche.

3. In che modo queste caratteristiche sono un riflesso di te?

A questo punto, chiediti in che modo le caratteristiche di cui hai preso nota sono un tuo riflesso. O meglio: in che modo anche tu possiedi questi aspetti - non ancora sviluppati o repressi - dentro di te.

Potresti rimanere sorpresa e allo stesso modo potresti anche percepire delle resistenze. Potresti negare il fatto di essere, non so, arrogante, perché non ti sembra una caratteristica che ti appartiene.

Tuttavia, fermati un attimo e datti la possibilità di rifletterci sopra: se reagisci in quel modo è probabile che sia stato toccato un aspetto delle tua Ombra che si trova ancora molto in profondità.

Nel momento in cui accogli anche le caratteristiche che fatichi a riconoscere in te, potresti accorgerti che magari questi aspetti - espressi nel modo che più ti corrisponde - potrebbe aiutarti, ad esempio, a far rispettare i tuoi confini, a esprimere la tua Verità o a portare avanti quello in cui credi.

4. Individua la convinzione di fondo che ti blocca

Una volta che hai capito in che modo le caratteristiche che ti infastidiscono o che ammiri degli altri ti rispecchiano, continua ad andare a fondo e ricerca il motivo per cui non ti permetti di essere in quel modo.

Vedrai che svolgendo questo passaggio pian piano emergeranno le convinzioni di fondo, che solitamente sono nate da situazione passate che ci portiamo avanti per diverso tempo.

Vai a ritrovare quando queste convinzioni si sono generate e inizia a lavorare sui quei pensieri e quelle emozioni, in modo da riuscire a risolvere i tuoi blocchi, integrare la tua Ombra e tornare a sentirti completa.

Come avrai capito, le parti di noi che si trovano ancora in profondità sono quelle su cui abbiamo più bisogno di lavorare, perché se agiamo solo in superficie, è difficile che qualcosa cambi.

Allora prendi coraggio e fai questo passo per ritornare te stessa, nella tua totalità. Quando lo farai, libererai il tuo potere interiore e l’energia giusta per attrarre a te le persone, le situazioni e gli eventi che ti servono davvero.


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Ferite interiori: come si generano e come iniziare a guarirle

Rifiuto, abbandono, umiliazione, tradimento e ingiustizia: sono cinque le principali ferite emotive che condizionano maggiormente la nostra esistenza, impedendoci di attrarre a noi quello che desideriamo veramente.

Magari non l’abbiamo ancora riconosciuta o forse non vogliamo vederla, ma in realtà almeno una ferita c’è. E spesso non ce n’è solo una, ce ne sono diverse, e possono coesistere anche fra di loro.

In questo articolo scoprirai come e quando queste ferite si sono create e cosa puoi iniziare a fare ora per sanarle, così che tu riesca ad abbandonare gli atteggiamenti che non ti sono utili e manifestare la tua vita più autentica.


Come si creano queste ferite?

La maggior parte delle nostre ferite interiori si generano durante l’infanzia, quando noi siamo in uno stato psico-cognitivo ancora non totalmente sviluppato, e quindi non riusciamo ad attribuire un senso logico a tutto quello che ci succede.

In particolar modo, una ferita interiore si crea ogni volta che un nostro bisogno primario non viene corrisposto e perciò noi proviamo dolore, senza però sapere bene il perché.

Ad esempio, fin da piccoli sentiamo il bisogno primario di sopravvivere, ma se non riceviamo le risorse necessarie per farlo o una protezione adeguata, tutto questo ci causa una grande sofferenza e può andare appunto a determinare una ferita, una ferita che rimane dentro di noi.

La stessa cosa può avvenire se ci viene negato il bisogno primario dell’esistenza. Tutti noi necessitiamo di essere visti, percepiti, e di sapere che c’è qualcuno che è consapevole che esistiamo. Se questo viene a mancare e la nostra presenza viene ignorata, l’esperienza è così dolorosa da poter recare un’altra ferita interiore. 

Anche nel caso in cui qualcuno rifiuti il bisogno primario dell’appartenenza può succedere lo stesso. Se la nostra necessità di sapere che non siamo soli, che facciamo parte di un gruppo o di un certo tipo di relazione viene delusa, ecco che si crea un’ulteriore ferita interiore.

Come reagiamo a queste ferite?

Vi ho parlato di esperienze avvenute durante l’infanzia, ma in realtà queste cose possono capitare anche in altri contesti, perché in fondo possiamo rimanere feriti profondamente a qualsiasi età, no?

Nasciamo esseri puri, possediamo potenzialità e caratteristiche che non abbiamo il timore di mostrare al mondo. Poco a poco, però, attraverso la crescita, l’educazione e i feedback che riceviamo dall’esterno, iniziamo a renderci conto che esistono delle regole e ci accorgiamo, ad esempio, che non va bene gridare, che non bisogna far rumore, che non dobbiamo andare a letto tardi o che non dobbiamo piangere, perché appunto chi ci sta attorno ci insegna così.

Dunque, anche le direttive e i rimproveri che riceviamo nel corso della nostra vita possono infliggere in noi delle ferite emotive.

E per sfuggire alla possibilità di sentire ancora il dolore di queste ferite, noi che cosa facciamo? Iniziamo ad adottare dei comportamenti specifici, ad assumere determinati ruoli, a indossare delle maschere, proprio come ti raccontavo qui.

Se viviamo inconsapevoli di quelle che sono le nostre ferite, il rischio è quindi quello di continuare ad agire in risposta a queste ferite, perpetuando dei meccanismi di compensazione che purtroppo danneggiano la nostra quotidianità.

A ogni ferita la sua maschera

Se volessimo fare una categorizzazione delle ferite interiori e delle rispettive maschere compensative, potremmo racchiuderle in queste cinque tipologie.

1. Il rifiuto

La ferita del rifiuto avviene se noi, appena nasciamo, in qualche modo sentiamo di non essere desiderati, di non essere benvoluti o di non essere accettati nell'ambiente familiare in cui ci troviamo.

Magari nasciamo femmina invece di maschio o viceversa, o veniamo alla luce in un momento in cui i nostri genitori non sono ancora totalmente pronti ad accoglierci. Sta di fatto che noi arriviamo felici e contenti su questo mondo, eppure continuiamo ad avere l'impressione che non dovremmo essere lì.

A seguito della ferita del rifiuto, di solito reagiamo mettendoci la maschera della persona solitaria o fuggitiva. Tendiamo a isolarci dagli altri proprio per paura che qualora ci aprissimo, creassimo una relazione con loro e mostrassimo la nostra vulnerabilità, non verremmo accettati totalmente o apprezzati per come siamo, e quindi ci sentiremmo rifiutati.

Allora, piuttosto che risvegliare il dolore della ferita del rifiuto, la persona solitaria decide di starsene per i fatti suoi, di fuggire dalle amicizie, di non impegnarsi seriamente nelle relazioni, comportandosi appunto in maniera sfuggente.

3. L’abbandono

La seconda ferita, quella dell’abbandono, avviene invece se ci troviamo in una situazione in cui qualcuno ci ama, ci vuole bene e ci vuole, ma per qualche motivo non può stare con noi, non può darci il suo tempo e la sua attenzione.

Questo accade se, ad esempio, i nostri genitori divorziano e quindi, nonostante ci vogliano bene, decidono di separarsi. Oppure succede se avviene un lutto in famiglia e una persona a noi cara ci lascia per percorrere il suo cammino. O ancora, se magari quell'amica a cui volevamo tanto bene si trasferisce da un'altra parte, “lasciandoci indietro”.

Anche in questa situazione, la sensazione dell’abbandono genera una ferita così profonda che la persona - proprio per evitare che qualcun altro la abbandoni e sparisca dalla sua vita, riaprendo quella ferita - mette su una maschera, la maschera della persona indipendente, che non ha bisogno di nessuno.

3. L’umiliazione

La terza ferita è quella dell’umiliazione, e questa generalmente nasce durante la prima infanzia, se chi ci sta attorno - il genitore, il vicino, lo zio o la persona di turno - continua a buttarci giù, dandoci dello stupido e del buono a nulla, oppure ci deride e ci fa vergognare per qualcosa, come ad esempio l’aver fatto la pipì a letto.

Se questo avviene, è chiaro che noi ne rimaniamo molto feriti. E se subiamo questa ferita, come reagiamo? Ci mettiamo la maschera del people-pleaser, cioè di quella persona che si sacrifica affinché gli altri la possano apprezzare. Quindi mette in secondo piano i suoi bisogni, proprio per sfuggire all’umiliazione di qualcuno che la critichi.

Nelle dinamiche di coppia, in particolare, questo succede molto spesso. Uno dei due partner fa di tutto per diventare la copia perfetta di quello che l’altro vuole, fino a poi rendersi conto di aver perso ogni contatto con sé stesso.

4. Il tradimento

La ferita del tradimento non si riferisce solo al tradimento “vero e proprio”, quello che avviene in una relazione amorosa, ma riguarda anche altri tipi di tradimenti, dove noi abbiamo fiducia in qualcuno e crediamo ciecamente in lui, e questo infine ci delude, violando “gli accordi” presi.

Questo può capitare se da piccoli ci dicono “Guarda che se fai il bravo ti compro la macchinina”, e poi la macchinina non arriva. Oppure se ci dicono “Guarda che se fai la brava ti porto al parco giochi”, e poi magari quel giorno piove e non ci portano, senza però spiegarci il perché.

In tal modo, questi piccoli e grandi tradimenti ci portano a metterci addosso la maschera del controllo. Per cui, piuttosto che temere che qualcuno tradisca la nostra fiducia o non rispetti la parola data, facciamo tutto da noi e, allo stesso tempo, manteniamo rigidamente il controllo sulla situazione, per assicurarci che le cose vadano sempre per il meglio.

5. L’ingiustizia

Infine, abbiamo la ferita dell’ingiustizia, che ha luogo se da piccoli veniamo messi a confronto con qualcun altro, oppure se ci viene chiesto qualcosa che non siamo in grado di fare, come ad esempio andare bene in matematica quando invece magari la nostra è un’intelligenza di tipo linguistico o musicale.

Cosa succede se noi continuiamo a subire quella che percepiamo essere un’ingiustizia? A un certo punto ricerchiamo il perfezionismo, proprio per paura di sentirci paragonati agli altri e di non sentirci abbastanza. Oppure, ci mettiamo la maschera della rigidità emotiva e chiudiamo le porte al resto, nascondendo ciò che proviamo anche a noi stessi, e costruendoci una corazza protettiva in cui poterci sentire al sicuro.

Magari non ci accorgiamo neanche di aver sviluppato questa maschera, perché in fondo pensiamo di stare bene così. Tuttavia, non esprimendo ciò che sentiamo, reprimiamo una parte importante di noi, e non ci rendiamo conto che in verità possiamo decidere come vogliamo vivere le nostre emozioni, come vogliamo manifestare il nostro affetto, come vogliamo comunicare con il nostro partner, i nostri genitori, i nostri amici e così via.

Come sanare queste ferite

Insomma, le maschere che si generano in risposta alle nostre ferite interiori possono farci stare parecchio male: generano comportamenti e situazioni che ci impediscono di vivere in maniera serena e si ripercuotono anche sulle nostre relazioni, laddove continuiamo ad attirare a noi le persone che risvegliano quelle ferite e ci fanno soffrire.

Se ti riconosci in quasi tutte le ferite di cui ti ho parlato, tranquilla, anche per me è stato così. Queste, in realtà, sono delle ottime opportunità. Ci permettono di guardarci dentro e di comprendere il motivo delle nostre reazioni e dei nostri atteggiamenti, avviando la nostra guarigione.

Ecco perché è importante prenderne consapevolezza ora, quando siamo adulti e possiamo acquisire gli strumenti giusti per lavorarci sopra ed evitare che nuove ferite vengano inflitte. Non perché ci isoliamo mettendo su una maschera, ma perché di fronte a nuove situazioni riusciamo a capire che cosa sta succedendo e cosa stiamo provando, e di conseguenza fare scelte migliori.

Allora, una volta che ci accorgiamo di avere queste ferite, cosa possiamo fare? Dobbiamo iniziare a prenderci cura di quello che è conosciuto come il nostro “bambino interiore”, ovvero quella parte di noi che ha subito queste ferite e che, dal momento che è rimasta bambina, non ha gli strumenti cognitivi per capire, metabolizzare e risolvere le cose per conto suo.

Tutti noi abbiamo questa componente, ed essa ci parla in tantissimi modi. Ogni tanto viene fuori e cerca di richiamare la nostra attenzione perché ha bisogno di noi, e magari si esprime con la rabbia, con la paura, con la frustrazione o ancora con la tristezza.

Molto spesso, però, noi non ci rendiamo conto della sua presenza. Oppure - specialmente se non siamo consapevoli delle nostre ferite - tendiamo a non voler sentire quello che ha da dirci, e andiamo avanti, perpetuando dinamiche relazionali o professionali che, come dicevamo, non ci servono e ci fanno del male.

Perciò, quando la nostra bambina interiore richiede la nostra presenza, la cosa migliore che possiamo fare è esserci per lei e darle oggi ciò che avrebbe voluto ricevere e che non ha ricevuto ai tempi, vale a dire ciò di cui aveva bisogno nel momento in cui le sue ferite interiori si sono generate.

Instaurando un dialogo con lei, noi svolgiamo quello che in inglese viene chiamato re-parenting. E tramite questa pratica noi diventiamo - come dice la parola stessa - i genitori di noi stesse: ci prendiamo cura di noi, riscopriamo le nostre emozioni, diamo voce a quello che abbiamo dentro, ci diamo il permesso di esprimere i nostri bisogni e magari ci rendiamo conto che desideriamo altro e riflettiamo su come possiamo ottenerlo e manifestarlo.

Così facendo, noi risaniamo le nostre ferite interiori e pian piano torniamo a sentirci complete. E, alleggerendoci del peso del dolore e della paura, andiamo avanti.

Da dove cominciare

A questo punto, è il momento di tirare fuori il tuo journal e di rispondere alle seguenti domande. Ti aiuteranno a prendere consapevolezza di quali ferite sono state attivate e a iniziare a lavorare su questi aspetti.

Per prima cosa, ripercorri mentalmente il tuo passato e identifica quando potrebbe essere stato un momento in cui una ferita interiore si è generata.

Ti anticipo che magari non lo troverai subito perché potrebbe essere un evento un po’ nascosto nell’inconscio.

Quindi, se non riesci a individuare un momento preciso, definisci più o meno il periodo in cui pensi che sia successo, e vedrai che riflettendoci sopra una risposta più completa arriverà.

Se dovessi descrivere il momento in cui questa ferita si è generata, come lo descriveresti? Che cos’è accaduto di preciso? 

Vai a riprendere queste memorie e chiediti anche: Chi c’era con me? Chi era l’altra persona o le altre persone coinvolte? E che cosa hanno detto? Che cosa hanno fatto?

Ora che sei tornata in quel momento passato, poniti la domanda più importante: Che cosa avresti voluto, invece, che quella persona o quelle persone avessero fatto per te? Che cosa avresti voluto che ti avessero detto?

Poi, dopo aver risposto a queste domande, passa allo step successivo e dedicati al perdono.

Noi oggi siamo cresciuti, possiamo vedere queste situazioni con occhio diverso, e possiamo accorgerci che la persona o le persone coinvolte si sono dovute comportare in quel modo perché magari c’erano determinate circostanze in atto e pertanto non sono riuscite a darci quello che desideravamo.

È bene ricordare che ognuno fa il meglio di quello che può in ogni momento, al massimo delle sue conoscenze, capacità e competenze. Allora eventualmente possiamo smetterla di puntare il dito verso gli altri e iniziare a praticare il perdono, cominciando a essere noi le prime persone a darci quello di cui abbiamo bisogno.


Quella del re-parenting è una pratica quotidiana avanzata che approfondiamo bene nel percorso Alchimia dell’Anima. Puoi comunque iniziare già a creare le tue frasi, i tuoi gesti, i tuoi atti simbolici per prenderti cura della tua bambina interiore, così da riuscire a darle l’amore di cui ha bisogno nei momenti di difficoltà.

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Tu, oltre il tuo ruolo: come toglierti la maschera e riscoprire la tua Essenza

Come risponderesti alla domanda “Chi sei?”? Apparentemente questa domanda potrà sembrarti scontata, ma in realtà nasconde qualcosa di molto profondo.

Generalmente, quando incontriamo qualcuno di nuovo, ci presentiamo facendogli sapere il nostro nome e cognome, la nostra età, la nostra professione, cosa ci piace fare, ecc. ecc. Se però lasciassimo da parte tutte queste informazioni, cosa ne rimarrebbe realmente di noi?

Quando andiamo oltre queste etichette, ci rendiamo conto che dentro di noi c’è qualcosa di molto più intrinseco e reale. C'è qualcosa che è arrivato su questo mondo in maniera del tutto pura: la nostra anima.

Cosa succede però quando cresciamo e iniziamo a interagire con le altre persone? Lo vediamo insieme in questo articolo. Ti guiderò ad andare oltre le maschere che indossi per riscoprire la tua vera Essenza.


L’identità

Come dicevo, man mano che cresciamo iniziamo a sperimentare la vita e a interagire con le persone che ci stanno attorno, soprattutto con i nostri familiari.

Durante questo processo inizia a formarsi il nostro carattere, la nostra personalità. È come se prima fossimo stati un pezzo di plastilina senza forma e adesso, attraverso queste esperienze, continuiamo a plasmare la nostra identità, o quello che in psicologia viene chiamato Ego.

Molti credono che l’Ego sia qualcosa da dover combattere, da dover annientare, che lo scopo sia quello di trascenderlo. Ma in realtà non è per niente così!

L’Ego è semplicemente un costrutto che abbiamo creato per identificare chi siamo, è un insieme di programmi mentali e di comportamenti che noi mettiamo in atto e che (nota bene) sono condizionati, ovvero sono derivati da situazioni passate che abbiamo vissuto e che abbiamo assimilato senza neanche rendercene conto.

L’Ego nasce quindi dalle nostre abitudini, da quello che abbiamo imparato nel corso della nostra vita, dall’educazione che abbiamo ricevuto. È la nostra identità, o meglio, quello che noi crediamo di essere. E contiene anche quelle che sono le nostre opinioni, i nostri desideri, le nostre preferenze e i nostri giudizi riguardo noi stessi, qualcun altro o una situazione con cui ci confrontiamo.

Sulla base di ciò, una persona qualsiasi potrebbe essersi creata un Ego nel quale si riconosce, ad esempio, come una brava persona. Oppure, potrebbe aver deciso - non consciamente, ma attraverso le diverse esperienze che ha fatto - di essere una persona spirituale, una persona positiva, una persona indipendente, una persona proattiva, una persona determinata e via dicendo. O ancora potrebbe rivedersi in caratteristiche più negative, e definirsi una persona svampita o una frana in amore, nel caso in cui abbia avuto diverse delusioni sentimentali.

La gabbia

Tutti gli aggettivi che noi utilizziamo per descriverci sono quindi le etichette che vanno a formare il nostro Ego. Tuttavia, attenzione! Nel momento in cui ci associamo completamente ed esclusivamente a una etichetta, quella rischia di trasformarsi in una gabbia. Rischia di diventare il ruolo nel quale ci identifichiamo e dal quale non riusciamo più a uscire.

Mettiamo caso che tu ti veda come una brava persona, e perciò hai determinate convinzioni e credenze a riguardo. In tal caso inizierai a dirti che “Dato che sono una brava persona devo comportarmi in un certo modo”, e di conseguenza non potrai fare questo, quello o quell’altro. Ugualmente se ti vedi come una persona spirituale, potresti convincerti del fatto che “Dato che sono una persona spirituale, non posso interessarmi di cose materiali”, e così via.

Vedi: anche quando apparentemente l’etichetta che ci creiamo è positiva, c’è il rischio che diventi così rigida e restrittiva da ritrovarci intrappolate al suo interno, perché da questa dipendono tutti i comportamenti che ci consentiamo e non ci consentiamo di mettere in atto.

Questa cosa può andarci bene per un certo periodo, finché non inizia a starci stretta. Ce ne rendiamo conto quando iniziamo a sentire dentro di noi delle emozioni che indicano che qualcosa non sta andando come vorremmo. E, ad esempio, nel ruolo della brava persona cominciamo a sentirci sfruttate e ci accorgiamo che ci sacrifichiamo sempre per gli altri e che le persone ne approfittano.

I sistemi

Qui subentra un altro aspetto importante da tenere in conto, ovvero che in tutto questo non siamo degli individui isolati, non siamo degli esseri a sé stanti che vivono in una bolla. Al contrario, viviamo in un ambiente sociale e relazionale che può essere visto come un sistema, piccolo o grande a dipendenza dalla contesto in cui ci troviamo.

Il contesto familiare, ad esempio, già di per sé è un sistema: ci sono io e poi c’è mia madre, mio padre, i miei fratelli, i miei cugini ecc. ecc. Anche il contesto lavorativo è un sistema dove io interagisco con il mio capo, i miei colleghi e i miei collaboratori. Oppure con gli amici, anche lì si crea un sistema interpersonale.

Ecco. Dentro a ognuno di questi sistemi si creano delle dinamiche, dei funzionamenti che danno vita, mantengono e fanno funzionare quello specifico sistema. Ma questo cosa implica precisamente?

Come noi abbiamo un ruolo individuale, anche le persone con cui interagiamo hanno un loro ruolo. Quindi, quando io agisco ad esempio nel ruolo della brava persona, magari l’altra persona agisce nel ruolo dell’approfittatrice. E questo suo ruolo funziona fintanto che io continuo a mantenere il mio.

La stessa cosa può accadere quando io entro nel ruolo della persona indipendente che se la cava sempre da sola ed è capace di trovare la soluzione a tutto. Dato che mi comporto in questo modo, c’è la possibilità che all’interno del sistema di cui faccio parte, un mio parente o un mio familiare entri nel ruolo di quello che si appoggia e si affida sempre a me (tanto penso a tutto io, no?).

E quindi si creano - sempre a livello inconscio - delle dinamiche che mantengono il sistema equilibrato e funzionante. Un po’ come una sorta di gioco di squadra, dove ognuno ha il proprio ruolo e questi ruoli coesistono assieme, rafforzandosi a vicenda.

Uno dei sistemi più conosciuti, che probabilmente avrai già vissuto in una maniera o nell’altra, è quello che viene definito il “triangolo drammatico di Karpman”.

Questo è composto da tre ruoli principali: la vittima, ovvero la persona che soffre, che si lamenta, che crede che tutti le vogliono male e che capitano sempre tutte a lei; il carnefice, quello che punta il dito contro gli altri, che è sempre lì un po’ incazzoso a criticare e giudicare perché sono tutti incompetenti e il mondo fa schifo; e infine il salvatore (o la salvatrice), quella persona che arriva sempre in aiuto di chi ha bisogno, che risolve le cose, che trova le soluzioni, che si sacrifica pur di salvare gli altri, mettendo i suoi bisogni in secondo piano.

Capita spessissimo che noi entriamo in uno o più di questi ruoli. Magari iniziamo facendo la vittima e quindi vediamo tutto nero e cerchiamo qualcuno che ci dia quello che ci serve. Possiamo iniziare così e poi passare dalla parte del carnefice, cominciando a incolpare chiunque altro (eccetto noi stesse) se la nostra vita non va come vorremmo. E allo stesso modo potremmo entrare anche nel ruolo della salvatrice, come quando, ad esempio, ci sentiamo di dover rassicurare a tutti i costi quell’amica che ci chiama la sera tardi per chiedere il nostro aiuto.

Il cambiamento

Se ci fermiamo a osservare, è quasi inevitabile prendere consapevolezza di quante dinamiche e quanti ruoli sono in atto nelle nostre vite.

Allora, quando mi accorgo che l’identità e il ruolo che sto conducendo mi sta stretto e non mi va più bene, cosa succede se decido di spezzare l’equilibrio che si è creato e cambiare quelle dinamiche sistemiche nelle quali mi trovo?

Purtroppo questi cambiamenti non sono semplici e immediati, specialmente perché l’altra persona consciamente o inconsciamente potrà fare di tutto per resistere. Magari perché gli fa comodo la situazione attuale e si sentirà destabilizzata e impaurita di fronte alla prospettiva di mettersi in discussione.

Quando iniziamo a lavorare su di noi, iniziamo a crescere, iniziamo a chiederci chi siamo e chi vogliamo essere. E pian piano iniziamo anche a cambiare il nostro ruolo e a stabilire dei confini per prenderci cura di noi stesse e preservare la nostra energia.

Così facendo andremo inevitabilmente a creare degli scompensi nel sistema, degli squilibri di cui è probabile che gli altri ci faranno sentire in colpa, perché “Vedi?! Non sei più la persona di una volta”, “Un tempo potevo contare su di te e adesso invece…”, “Da quando frequenti quello e quell’altro non sei più la stessa”, ecc. ecc.

Intorno a noi potremmo quindi percepire delle resistenze ai nostri cambiamenti. Se però vogliamo volerci veramente bene, vogliamo essere noi stesse appieno e vogliamo esprimere tutto il nostro potere e il nostro potenziale, ci deve essere un momento in cui le persone a noi care dovranno capirci e adattarsi per creare insieme dei compromessi. Può darsi che non lo capiranno subito. Ma questa sarà una grande opportunità anche per loro di guardarsi dentro e andare oltre il loro ruolo.

E coloro che non riusciranno ad accettare la reale versione di noi stesse? Forse è meglio perderli per strada... O cambiare il tipo di rapporto che abbiamo con loro. È chiaro che sul momento può essere molto doloroso. Si creeranno però dei nuovi sistemi e delle nuove dinamiche con nuova gente in linea con chi siamo, con chi vogliamo essere e con i nostri nuovi ruoli.

La pratica

Quali sono i passi da compiere una volta che ti rendi conto che c’è un triangolo drammatico in atto, o semplicemente una dinamica sistemica che non ti corrisponde più?

1. Prenditi la responsabilità del cambiamento

Il primo passo è proprio quello di prenderti la responsabilità, rendendoti conto che la persona che risente di questo problema sei proprio tu, non l’altra, non quello che fa la vittima, il salvatore o il carnefice, non il genitore di turno, né il compagno di turno. Sei tu che ti sei accorta che il problema esiste a risentirne.

A questo punto non puoi iniziare a lamentarti e aspettare che siano gli altri a cambiare, perché aspetteresti cent’anni. Le altre persone del sistema sono resistenti al cambiamento, a loro fa comodo stare in quel ruolo, ricordi?

Quindi, inizia a chiederti cosa puoi fare TU. Tocca a te cambiare!

2. Riconosci qual è il copione in atto

Abbiamo parlato di dinamiche sistemiche e di equilibri che si mantengono e si rafforzano. Perciò immagina di essere a teatro e di avere una sorta di copione che stai mettendo in atto nei rapporti della tua vita.

Inizia a fare attenzione a come ti comporti e a come gli altri reagiscono a questi tuoi comportamenti. Identifica le reazioni a catena che ne derivano, le risposte a seguire.

Quando inizi a renderti sempre più conto di cosa sta succedendo attorno a te, puoi passare al terzo passaggio.

3. Fai qualcosa di diverso

Probabilmente adesso ti starai chiedendo come puoi cambiare il copione che è in corso. Il terzo passaggio comincia con un bel brainstorming a riguardo.

Se ti sei accorta, ad esempio, che il copione in atto è quello in cui, ogni volta che la tua amica ti chiama a mezzanotte in balia delle sue fisime mentali, tu alzi la cornetta nonostante la stanchezza, inizia a riflettere su quello che puoi fare di diverso in questa situazione.

Puoi non risponderle. Oppure puoi scriverle prima per dirle che stai andando a dormire. Puoi anche parlarle e spiegarle che nonostante tu voglia aiutarla, ti rendi conto che la sera sei molto stanca e hai bisogno di riposarti, e che quindi preferiresti che ti chiamasse, ad esempio, alle 4 del pomeriggio.

Insomma, descrivi che cosa puoi accettare e che cosa no. Definisci dei confini chiari e salutari per te e il rapporto in questione.

4. Supera il disagio

Nel fare questo, nel fare qualcosa di diverso, ti avverto però. Ti sarà richiesto di uscire dalla tua zona di comfort, perché il momento in cui tu ti rifiuterai di dare l’aiuto a chi hai sempre dato aiuto creerà disagio sia a te che all’altra persona.

Inizialmente, quando il copione cambierà, abbiamo detto che all’altro potrà dare fastidio, ci sarà resistenza. Magari inizierà a farti sentire in colpa, inizierà a darti dell’egoista, inizierà a fare la vittima, inizia a richiedere e ad aspettarsi da te il vostro solito copione.

Allora tieni duro. Devi superare il disagio e persistere. Tieni a mente che non stai facendo tutto questo per ferire l’altro, ma perché hai la necessità di ritornare a te stessa e di crearti dei nuovi ruoli in cui senti di appartenere.

5. Abbi pazienza e sii costante

In conclusione, non è che i ruoli sono sbagliati, sono naturali. Tuttavia, dobbiamo interrogarci profondamente su quale sia il ruolo che vogliamo avere quando interagiamo con gli altri.

Ricordati anche che nulla accade così in una notte. Le abitudini richiedono tempo. Quindi più riusciamo a cambiare il nostro copione e a mantenerlo, più anche l’altra persona sarà chiamata a cambiare di conseguenza, per riassestare l’equilibrio del sistema.

Sii consapevole che è un processo e da parte tua richiede molta consapevolezza e determinazione. Troppo spesso ci sacrifichiamo senza rendercene nemmeno conto. Poi finiamo per scoppiare e riversare rabbia, frustrazione nei nostri confronti. E magari ci ammaliamo pure.

Quindi forza, metti te stessa al primo posto. Ritrova il desiderio di esserti fedele, e scappa a gambe levate da tutte quelle dinamiche che non ti sono utili!


Se hai qualche domanda o vuoi approfondire il tuo rapporto con i ruoli e le maschere, vieni a parlarne nel gruppo Facebook Shine Your Light. È un luogo protetto dove potrai trovare altre splendide donne interessate alla crescita personale e spirituale.

Paura del cambiamento: 4 passi per superarla

Durante le sessioni di coaching, mi capita spesso di incontrare due tipi di persone: entrambe sono consapevoli che la loro vita non va come vorrebbero, eppure solo una di loro vuole davvero fare qualcosa per migliorarla.

L’altra, invece, continua a raccontarmi i retroscena del perché la sua realtà è in un determinato modo, impuntandosi di dovermi convincere delle cause esterne che rendono difficile la sua trasformazione.

Se anche tu hai avuto clienti che rientrano nell'ultima categoria, è normale. Decidere di cambiare la propria condizione è più facile a dirsi che a farsi. Presuppone di prendere consapevolezza dei comportamenti che non sono utili, di identificare le possibili soluzioni per trasformarli e, nel frattempo, di auto-motivarsi durante tutto il percorso.

Insomma, cose mica da poco.

Così, il cambiamento finisce per apparire talmente grande e difficile da fare paura. E quando si ha paura, capita a tutti di nascondersi dietro a mille scuse e giustificazioni, no?

Tuttavia, anche se a volte potrà non sembrare così, il cambiamento può avvenire. In ogni piccolo momento della nostra esistenza, in ogni piccola decisione che prendiamo, in ogni piccola scelta che facciamo, in ogni piccola abitudine che costruiamo un passo dopo l’altro.

Quindi no, non serve continuare a chiedere alla tua cliente perché si trova dove si trova, non serve sperare che tutto si sviluppi magicamente come desidera lei. Può realizzare il suo cambiamento ora, partendo da uno shift nella percezione delle cose e iniziando a compiere piccole ma sensate azioni per stravolgere la sua situazione in modo attivo.

A questo punto, ti starai chiedendo come aiutare i tuoi clienti a superare la paura del cambiamento e avvicinarli a costruire la realtà che desiderano. Allora mettiti comoda, ecco i 4 passi per cambiare.


1. Definire il dolore associato al cambiamento

Devi sapere che tutte le azioni che ogni essere umano compie quotidianamente sono dovute a due desideri fondamentali: evitare il dolore e provare piacere.

Molto spesso, però, il desiderio di evitare il dolore è più forte di quello di provare piacere. Se quindi il nostro cervello ha associato al cambiamento la paura di soffrire, cambiare risulta molto faticoso, poiché a livello inconscio cercheremo di allontanarci da esso.

Mettiamo che la tua cliente senta la necessità di cambiare, ma non riesca a farlo a causa del dolore che ha associato al cambiamento. Forse non ne é consapevole, ma certamente c’è un dolore. Altrimenti, il problema non si sarebbe nemmeno posto.

Allora, puoi farle queste domande:

Ad esempio, il dolore associato ai grandi cambiamenti potrebbe essere riassunto nella paura di non essere all'altezza, di investire tempo e impegno senza alcuna certezza sui ritorni, di non essere apprezzata dagli altri, e così via.

2. Riconoscere i benefici nel non cambiare

Certo, decidere di non fare nulla e di continuare a stare in una situazione che non ci soddisfa appieno ci protegge da un eventuale grande dolore, da un possibile fallimento.

Inoltre, la situazione di stagnazione – il non cambiamento – continua a portarci almeno un po’ di piacere, perché abbiamo più certezze e meno responsabilità e preoccupazioni.

Quindi sì, anche decidere di non cambiare può portare dei benefici. Benefici che sono capaci di intrappolare la tua cliente in una realtà mediocre: non troppo brutta da odiare, ma nemmeno bella da amare veramente.

Quindi aiutala a rispondere con molta onestà a queste domande:

3. Pensare al dolore provato se non si cambia

Per cambiare la propria situazione, è necessario confrontarsi con i passi che è utile compiere, prendere in mano la propria vita e decidere di fare qualcosa per smuovere le cose.

Un buon inizio è stimolare la tua cliente a modificare l’associazione mentale che collega le sue azioni ai rispettivi dolori e piaceri (i punti 1 e 2 appena visti qui sopra).

Chiedile di riflettere sul tipo di dolore che vivrebbe, se non dovesse fare nulla per raggiungere il suo obiettivo:

Aiutala a concentrarsi sulle sensazioni sgradevoli, l’insoddisfazione e la tristezza che sentirebbe se decidesse di non agire. Come diventerebbe inappagante la sua vita fra 3, 5 o 10 anni se restasse tale e quale?

Quanta delusione proverebbe se, nel 2030, dovesse svegliarsi e rendersi conto che nulla è cambiato rispetto a oggi? Immaginando le occasioni che ha perso, i momenti che non ha vissuto. Tutte le cose che rimpiange e che ormai è troppo tardi per fare.

Questo passo può fare male, ma è utile per risvegliarla dal torpore della sua zona di comfort. Per aprirle gli occhi.

4. Riconoscere il piacere e la gioia del cambiamento

Il prossimo passo è concentrarsi sui vantaggi che la tua cliente otterrebbe se decidesse di fare qualcosa di concreto per cambiare, per raggiungere i suoi obiettivi, per realizzare i suoi sogni.

Aiutala a rispondere focalizzando il più possibile la sua attenzione sulla sensazione di piacere che proverebbe, sulle soddisfazioni che potrebbe trarne, su come si sentirebbe felice e pienamente appagata.

Spronala ad ascoltare se stessa, profondamente, senza lasciarsi influenzare dalla realtà. È importante capire quali sono le vere emozioni, ciò che le dice il cuore, le vere sensazioni che il cambiamento susciterebbe in lei.

Quali opportunità si presenterebbero? Quante persone potrebbe aiutare? Quali soddisfazioni potrebbe provare? Che cosa significa tutto questo per lei?


Se vuoi lavorare sulla tua paura del cambiamento e approfondire la tua crescita personale, dai un'occhiata a Vivi i tuoi sogni, il corso gratuito di auto-coaching che ti aiuta a riappropriarti del tuo grande potenziale e a ritrovare la chiarezza per raggiungere ciò che desideri davvero, passo dopo passo.

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Io, come sempre, aspetto te e tutte le tue amiche e conoscenti che desiderano unirsi al gruppo Shine Your Light su Facebook - un luogo sicuro e protetto di crescita personale e spirituale per nutrire la tua anima.