
Come risponderesti alla domanda “Chi sei?”? Apparentemente questa domanda potrà sembrarti scontata, ma in realtà nasconde qualcosa di molto profondo.
Generalmente, quando incontriamo qualcuno di nuovo, ci presentiamo facendogli sapere il nostro nome e cognome, la nostra età, la nostra professione, cosa ci piace fare, ecc. ecc. Se però lasciassimo da parte tutte queste informazioni, cosa ne rimarrebbe realmente di noi?
Quando andiamo oltre queste etichette, ci rendiamo conto che dentro di noi c’è qualcosa di molto più intrinseco e reale. C’è qualcosa che è arrivato su questo mondo in maniera del tutto pura: la nostra anima.
Cosa succede però quando cresciamo e iniziamo a interagire con le altre persone? Lo vediamo insieme in questo articolo. Ti guiderò ad andare oltre le maschere che indossi per riscoprire la tua vera Essenza.
L’identità
Come dicevo, man mano che cresciamo iniziamo a sperimentare la vita e a interagire con le persone che ci stanno attorno, soprattutto con i nostri familiari.
Durante questo processo inizia a formarsi il nostro carattere, la nostra personalità. È come se prima fossimo stati un pezzo di plastilina senza forma e adesso, attraverso queste esperienze, continuiamo a plasmare la nostra identità, o quello che in psicologia viene chiamato Ego.
Molti credono che l’Ego sia qualcosa da dover combattere, da dover annientare, che lo scopo sia quello di trascenderlo. Ma in realtà non è per niente così!
L’Ego è semplicemente un costrutto che abbiamo creato per identificare chi siamo, è un insieme di programmi mentali e di comportamenti che noi mettiamo in atto e che (nota bene) sono condizionati, ovvero sono derivati da situazioni passate che abbiamo vissuto e che abbiamo assimilato senza neanche rendercene conto.
L’Ego nasce quindi dalle nostre abitudini, da quello che abbiamo imparato nel corso della nostra vita, dall’educazione che abbiamo ricevuto. È la nostra identità, o meglio, quello che noi crediamo di essere. E contiene anche quelle che sono le nostre opinioni, i nostri desideri, le nostre preferenze e i nostri giudizi riguardo noi stessi, qualcun altro o una situazione con cui ci confrontiamo.
Sulla base di ciò, una persona qualsiasi potrebbe essersi creata un Ego nel quale si riconosce, ad esempio, come una brava persona. Oppure, potrebbe aver deciso – non consciamente, ma attraverso le diverse esperienze che ha fatto – di essere una persona spirituale, una persona positiva, una persona indipendente, una persona proattiva, una persona determinata e via dicendo. O ancora potrebbe rivedersi in caratteristiche più negative, e definirsi una persona svampita o una frana in amore, nel caso in cui abbia avuto diverse delusioni sentimentali.
La gabbia
Tutti gli aggettivi che noi utilizziamo per descriverci sono quindi le etichette che vanno a formare il nostro Ego. Tuttavia, attenzione! Nel momento in cui ci associamo completamente ed esclusivamente a una etichetta, quella rischia di trasformarsi in una gabbia. Rischia di diventare il ruolo nel quale ci identifichiamo e dal quale non riusciamo più a uscire.
Mettiamo caso che tu ti veda come una brava persona, e perciò hai determinate convinzioni e credenze a riguardo. In tal caso inizierai a dirti che “Dato che sono una brava persona devo comportarmi in un certo modo”, e di conseguenza non potrai fare questo, quello o quell’altro. Ugualmente se ti vedi come una persona spirituale, potresti convincerti del fatto che “Dato che sono una persona spirituale, non posso interessarmi di cose materiali”, e così via.
Vedi: anche quando apparentemente l’etichetta che ci creiamo è positiva, c’è il rischio che diventi così rigida e restrittiva da ritrovarci intrappolate al suo interno, perché da questa dipendono tutti i comportamenti che ci consentiamo e non ci consentiamo di mettere in atto.
Questa cosa può andarci bene per un certo periodo, finché non inizia a starci stretta. Ce ne rendiamo conto quando iniziamo a sentire dentro di noi delle emozioni che indicano che qualcosa non sta andando come vorremmo. E, ad esempio, nel ruolo della brava persona cominciamo a sentirci sfruttate e ci accorgiamo che ci sacrifichiamo sempre per gli altri e che le persone ne approfittano.
I sistemi
Qui subentra un altro aspetto importante da tenere in conto, ovvero che in tutto questo non siamo degli individui isolati, non siamo degli esseri a sé stanti che vivono in una bolla. Al contrario, viviamo in un ambiente sociale e relazionale che può essere visto come un sistema, piccolo o grande a dipendenza dalla contesto in cui ci troviamo.
Il contesto familiare, ad esempio, già di per sé è un sistema: ci sono io e poi c’è mia madre, mio padre, i miei fratelli, i miei cugini ecc. ecc. Anche il contesto lavorativo è un sistema dove io interagisco con il mio capo, i miei colleghi e i miei collaboratori. Oppure con gli amici, anche lì si crea un sistema interpersonale.
Ecco. Dentro a ognuno di questi sistemi si creano delle dinamiche, dei funzionamenti che danno vita, mantengono e fanno funzionare quello specifico sistema. Ma questo cosa implica precisamente?
Come noi abbiamo un ruolo individuale, anche le persone con cui interagiamo hanno un loro ruolo. Quindi, quando io agisco ad esempio nel ruolo della brava persona, magari l’altra persona agisce nel ruolo dell’approfittatrice. E questo suo ruolo funziona fintanto che io continuo a mantenere il mio.
La stessa cosa può accadere quando io entro nel ruolo della persona indipendente che se la cava sempre da sola ed è capace di trovare la soluzione a tutto. Dato che mi comporto in questo modo, c’è la possibilità che all’interno del sistema di cui faccio parte, un mio parente o un mio familiare entri nel ruolo di quello che si appoggia e si affida sempre a me (tanto penso a tutto io, no?).
E quindi si creano – sempre a livello inconscio – delle dinamiche che mantengono il sistema equilibrato e funzionante. Un po’ come una sorta di gioco di squadra, dove ognuno ha il proprio ruolo e questi ruoli coesistono assieme, rafforzandosi a vicenda.
Uno dei sistemi più conosciuti, che probabilmente avrai già vissuto in una maniera o nell’altra, è quello che viene definito il “triangolo drammatico di Karpman”.
Questo è composto da tre ruoli principali: la vittima, ovvero la persona che soffre, che si lamenta, che crede che tutti le vogliono male e che capitano sempre tutte a lei; il carnefice, quello che punta il dito contro gli altri, che è sempre lì un po’ incazzoso a criticare e giudicare perché sono tutti incompetenti e il mondo fa schifo; e infine il salvatore (o la salvatrice), quella persona che arriva sempre in aiuto di chi ha bisogno, che risolve le cose, che trova le soluzioni, che si sacrifica pur di salvare gli altri, mettendo i suoi bisogni in secondo piano.
Capita spessissimo che noi entriamo in uno o più di questi ruoli. Magari iniziamo facendo la vittima e quindi vediamo tutto nero e cerchiamo qualcuno che ci dia quello che ci serve. Possiamo iniziare così e poi passare dalla parte del carnefice, cominciando a incolpare chiunque altro (eccetto noi stesse) se la nostra vita non va come vorremmo. E allo stesso modo potremmo entrare anche nel ruolo della salvatrice, come quando, ad esempio, ci sentiamo di dover rassicurare a tutti i costi quell’amica che ci chiama la sera tardi per chiedere il nostro aiuto.
Il cambiamento
Se ci fermiamo a osservare, è quasi inevitabile prendere consapevolezza di quante dinamiche e quanti ruoli sono in atto nelle nostre vite.
Allora, quando mi accorgo che l’identità e il ruolo che sto conducendo mi sta stretto e non mi va più bene, cosa succede se decido di spezzare l’equilibrio che si è creato e cambiare quelle dinamiche sistemiche nelle quali mi trovo?
Purtroppo questi cambiamenti non sono semplici e immediati, specialmente perché l’altra persona consciamente o inconsciamente potrà fare di tutto per resistere. Magari perché gli fa comodo la situazione attuale e si sentirà destabilizzata e impaurita di fronte alla prospettiva di mettersi in discussione.
Quando iniziamo a lavorare su di noi, iniziamo a crescere, iniziamo a chiederci chi siamo e chi vogliamo essere. E pian piano iniziamo anche a cambiare il nostro ruolo e a stabilire dei confini per prenderci cura di noi stesse e preservare la nostra energia.
Così facendo andremo inevitabilmente a creare degli scompensi nel sistema, degli squilibri di cui è probabile che gli altri ci faranno sentire in colpa, perché “Vedi?! Non sei più la persona di una volta”, “Un tempo potevo contare su di te e adesso invece…”, “Da quando frequenti quello e quell’altro non sei più la stessa”, ecc. ecc.
Intorno a noi potremmo quindi percepire delle resistenze ai nostri cambiamenti. Se però vogliamo volerci veramente bene, vogliamo essere noi stesse appieno e vogliamo esprimere tutto il nostro potere e il nostro potenziale, ci deve essere un momento in cui le persone a noi care dovranno capirci e adattarsi per creare insieme dei compromessi. Può darsi che non lo capiranno subito. Ma questa sarà una grande opportunità anche per loro di guardarsi dentro e andare oltre il loro ruolo.
E coloro che non riusciranno ad accettare la reale versione di noi stesse? Forse è meglio perderli per strada… O cambiare il tipo di rapporto che abbiamo con loro. È chiaro che sul momento può essere molto doloroso. Si creeranno però dei nuovi sistemi e delle nuove dinamiche con nuova gente in linea con chi siamo, con chi vogliamo essere e con i nostri nuovi ruoli.
La pratica
Quali sono i passi da compiere una volta che ti rendi conto che c’è un triangolo drammatico in atto, o semplicemente una dinamica sistemica che non ti corrisponde più?
1. Prenditi la responsabilità del cambiamento
Il primo passo è proprio quello di prenderti la responsabilità, rendendoti conto che la persona che risente di questo problema sei proprio tu, non l’altra, non quello che fa la vittima, il salvatore o il carnefice, non il genitore di turno, né il compagno di turno. Sei tu che ti sei accorta che il problema esiste a risentirne.
A questo punto non puoi iniziare a lamentarti e aspettare che siano gli altri a cambiare, perché aspetteresti cent’anni. Le altre persone del sistema sono resistenti al cambiamento, a loro fa comodo stare in quel ruolo, ricordi?
Quindi, inizia a chiederti cosa puoi fare TU. Tocca a te cambiare!
2. Riconosci qual è il copione in atto
Abbiamo parlato di dinamiche sistemiche e di equilibri che si mantengono e si rafforzano. Perciò immagina di essere a teatro e di avere una sorta di copione che stai mettendo in atto nei rapporti della tua vita.
Inizia a fare attenzione a come ti comporti e a come gli altri reagiscono a questi tuoi comportamenti. Identifica le reazioni a catena che ne derivano, le risposte a seguire.
Quando inizi a renderti sempre più conto di cosa sta succedendo attorno a te, puoi passare al terzo passaggio.
3. Fai qualcosa di diverso
Probabilmente adesso ti starai chiedendo come puoi cambiare il copione che è in corso. Il terzo passaggio comincia con un bel brainstorming a riguardo.
Se ti sei accorta, ad esempio, che il copione in atto è quello in cui, ogni volta che la tua amica ti chiama a mezzanotte in balia delle sue fisime mentali, tu alzi la cornetta nonostante la stanchezza, inizia a riflettere su quello che puoi fare di diverso in questa situazione.
Puoi non risponderle. Oppure puoi scriverle prima per dirle che stai andando a dormire. Puoi anche parlarle e spiegarle che nonostante tu voglia aiutarla, ti rendi conto che la sera sei molto stanca e hai bisogno di riposarti, e che quindi preferiresti che ti chiamasse, ad esempio, alle 4 del pomeriggio.
Insomma, descrivi che cosa puoi accettare e che cosa no. Definisci dei confini chiari e salutari per te e il rapporto in questione.
4. Supera il disagio
Nel fare questo, nel fare qualcosa di diverso, ti avverto però. Ti sarà richiesto di uscire dalla tua zona di comfort, perché il momento in cui tu ti rifiuterai di dare l’aiuto a chi hai sempre dato aiuto creerà disagio sia a te che all’altra persona.
Inizialmente, quando il copione cambierà, abbiamo detto che all’altro potrà dare fastidio, ci sarà resistenza. Magari inizierà a farti sentire in colpa, inizierà a darti dell’egoista, inizierà a fare la vittima, inizia a richiedere e ad aspettarsi da te il vostro solito copione.
Allora tieni duro. Devi superare il disagio e persistere. Tieni a mente che non stai facendo tutto questo per ferire l’altro, ma perché hai la necessità di ritornare a te stessa e di crearti dei nuovi ruoli in cui senti di appartenere.
5. Abbi pazienza e sii costante
In conclusione, non è che i ruoli sono sbagliati, sono naturali. Tuttavia, dobbiamo interrogarci profondamente su quale sia il ruolo che vogliamo avere quando interagiamo con gli altri.
Ricordati anche che nulla accade così in una notte. Le abitudini richiedono tempo. Quindi più riusciamo a cambiare il nostro copione e a mantenerlo, più anche l’altra persona sarà chiamata a cambiare di conseguenza, per riassestare l’equilibrio del sistema.
Sii consapevole che è un processo e da parte tua richiede molta consapevolezza e determinazione. Troppo spesso ci sacrifichiamo senza rendercene nemmeno conto. Poi finiamo per scoppiare e riversare rabbia, frustrazione nei nostri confronti. E magari ci ammaliamo pure.
Quindi forza, metti te stessa al primo posto. Ritrova il desiderio di esserti fedele, e scappa a gambe levate da tutte quelle dinamiche che non ti sono utili!
Se hai qualche domanda o vuoi approfondire il tuo rapporto con i ruoli e le maschere, vieni a parlarne nel gruppo Facebook Shine Your Light. È un luogo protetto dove potrai trovare altre splendide donne interessate alla crescita personale e spirituale.
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